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Tito Livio, lo storico dell’età Augustea

Tito Livio, fu lo storico più importante dell’età augustea, scrisse la monumentale opera Ab Urbe Condita e fu l’autore che contribuì a creare l’immagine della romanità

La vicenda biografica di Livio si svolge nella fase acuta della crisi repubblicana che portò all’Impero: la lunga fase delle guerre civili, il secondo triumvirato e l’ascesa di Augusto. Tito Livio si ritiene sia nato nel 59 A.C. a Padova, città della Gallia Cisalpina, da una famiglia agiata; potè così dedicarsi interamente allo studio e all’attività letteraria, senza tanto badare al carattere economico. Da Padova si trasferì a Roma per svolgere le sue indagini storiografiche.

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A Roma Livio scrisse la monumentale opera Ab Urbe Condita

Livio si mise a scartabellare le fonti e a studiare le opere degli altri storiografi: era la documentazione necessaria alla sua grande opera e fu l’unica opera della sua vita. Fu appassionato dai grandi eventi, dai grandi personaggi, dagli interventi divini e dalla missione di Roma nel mondo. Questo fu il suo modo di interpretare la storia, in modo Romano-centrico e questo lo rese in definitiva uno storico onesto con i suoi principi. Questo ambizioso progetto – romanamente ambizioso, potremmo dire – attirò l’attenzione dello stesso Augusto. A quanto sembra, il Princeps gli affidò anche l’educazione del nipote adottivo Claudio, il futuro imperatore.

Tito Livio contribuì a creare l’immagine della romanità

Livio è l’autore che più ha contribuito a creare l’immagine della romanità: questa fu forse una magra consolazione, perché all’obbiettivo dichiarato di restaurare quella virtus romana, poneva come duro prezzo la rinuncia alla libertas. Dal punto di vista politico Livio ebbe idee conservatrici filo-senatoriali, amava l’austerità tipica della Roma antica fatta di equilibrio morale, rispetto religioso e amor patrio.

Era un pompeiano convinto e di conseguenza avverso a Cesare e all’impero.

Tito Livio nella sua vita politica fu un pompeiano convinto, un repubblicano dunque, che esaltò sempre i principi della res publica; esaltò i principi repubblicani antichi senza mai denunciare apertamente la loro violazione durante il principato di Augusto. Nota curiosa fu che Augusto assunse questi stessi principi, almeno formalmente, come suo punto cardine per il proprio governo. Tito Livio, malgrado ritenesse che la repubblica sia la forma di governo migliore, in alcuni periodi storici riconosce la necessità di un solo uomo al potere. Una figura autorevole e prestigiosa capace di garantire la pace interna, comporre gli scontri di classe e restaurare i valori etico-religiosi. È in questa prospettiva che occorre inquadrare la sua posizione rispetto al Principato Augusteo.

Tito Livio, con Ab Urbe Condita, porta i nostri occhi a guardare alla gloria antica e ai valori di Roma delle origini.

Ab Urbe Condita fu un’epopea del popolo Romano, come l’Eneide di Virgilio, entrambe vicine al Principato Augusteo. Un’epopea scritta nel momento in cui Roma è all’apice di potenza e grandezza. In quest’opera Livio ripercorre un arco di tempo di ampio respiro: da Enea, alla morte di Druso maggiore. Dei suoi volumi a noi è arrivata solo la parte che riguarda la storia più antica di Roma. Egli, da buon ciceroniano che era, all’interno dei suoi libri utilizzò uno stile oratorio. L’opera comprende in tutto ben 142 libri (a noi pervenuti solo 35) scritti anno per anno, venne divisa in decadi e ognuna di essa aveva come tema principale la trattazione di una guerra. La suddivisione dei libri era la seguente:

  • Libro I-X: le origini, l’età monarchica, il passaggio alla repubblica, la prima guerra sannitica.
  • Libri XI-XX: guerra contro Pirro e I guerra punica, purtroppo andati perduti.
  • Libri XXI-XXX: II guerra punica. Il protagonista assoluto è Annibale. Livio lo immortala come nemico storico di Roma.
  • Libri XXXI-XLV: conquiste in Oriente. Questo blocco è dedicato alla politica estera imperialistica e la tensione ideale dei libri precedenti si allenta. Livio, marca quanto l’accresciuto benessere materiale abbia corrotto i mores, non indaga le cause, ma si concentra sull’esemplarità del passato per dare slancio a una contemporaneità in sofferenza.
  • Libri XLVI-CXLII: trattano gli avvenimenti compresi tra il 166 e il 9 d.C, anche questi andati perduti.

La finalità di questa immensa opera è spiegata da Livio nella prefazione.

Vale la pena leggere qualche estratto e qualche spunto di analisi all’interno dei vari libri. La storia, per Tito Livio, deve avere un fine didattico e morale. Lo storico propone esempi virtuosi di storia patria, volti a spingere i contemporanei a restaurare i mores della romanità arcaica. Questa concezione storica incide sulla tecnica compositiva: la narrazione tratta di episodi esemplari e di figure eroiche votate al sacrificio. L’autore, con tono amareggiato, ritiene che Roma deve la rovina alla sua stessa grandezza e che l’unica consolazione possibile è guardare all’antico e trarne gli esempi più fulgidi della perduta virtus.

Lo storico con una frase, inserita all’interno del proemio, ci fa capire l’importanza del suo lavoro: “Questo soprattutto è utile e salutare nello studio della storia: avere davanti agli occhi esempi di ogni genere testimoniati da un’illustre tradizione da cui trarre ciò che devi imitare per il bene tuo e del tuo Stato, e ciò che devi evitare, perché malvagio nelle intenzioni e nelle conseguenze

La memoria dell’autore è ancora oggi conservata nella sua città natale.

A Padova oggi è possibile vedere la sua lapide funeraria, con un’epigrafe incisa su un grosso blocco di ruvida trachite euganea, conservata nell’atrio del Palazzo Capodilista. Il 31 agosto 1413 l’umanista Sicco Polenton, cancelliere del Comune patavino, fu avvertito da tal frate Rolando che nell’orto del monastero era stata trovata un’antica tomba contenente una cassa di piombo con dentro uno scheletro ben conservato. Era Tito Livio. Duemila anni dopo, la sua figura è ancora ben viva nella memoria collettiva e una cosa è certa: vita, opere e stile del padovano Tito Livio risultano più attuali che mai.

Nicolò Banterla

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