Dopo lo scandalo in Valdobbiadene, si scopre che un lavoratore su tre, tra quelli stagionali provenienti dall’Est Europa, non è vaccinato
Qualche tempo fa è aveva fatto scalpore il focolaio di Covid-19 scoppiato in un’azienda vitivinicola di Valdobbiadene. Qui erano stati i lavoratori stagionali provenienti dall’Est Europa, in particolare romeni a portare il contagio, che ha causato la morte di una di loro, una signora di 48 anni.
Questo focolaio ha spostato l’attenzione dell’opinione pubblica su un dato rilevante: tra i 469 cluster che sono registrati in Veneto solo la scorsa settimana, molti si possono ricondurre a lavoratori dell’Est Europa che sono rientrati da soggiorni in Patria, oppure appena arrivati in Italia perché neo-assunti.
La situazione dei lavoratori stagionali provenienti dall’Est Europa in Veneto
Si può trattare di lavoratori in aziende agricole o edili, oppure di uomini e donne che lavorano a stretto contatto con gli anziani, assunti dalle stesse famiglie come personale domestico. Tra loro la percentuale di vaccinati è bassissima. In Romania, su 19 milioni di abitanti, solo 5 milioni sono vaccinati, in Bulgaria 1,2 su 7 milioni; in Moldavia 700 mila su 2,6 milioni mentre la Serbia quasi la metà.
La Fondazione Moressa ha raccolto i dati di questi lavoratori. «In Veneto si contano oltre 185 mila lavoratori, tra dipendenti, autonomi, parasubordinati e mobilitati, provenienti dall’Est Europa e dall’area balcanica. Pari a circa il 50% di tutti gli occupati stranieri nella regione, che sono 355 mila»
Il fondatore del circolo romeno parla del perché i suoi concittadini sono così restii a vaccinarsi
Teodor Amarandei, 45 anni, nel 2007 primo componente della Commissione di rappresentanza degli immigrati in Comune a Padova e, nel 2008, tra i fondatori del primo circolo romeno del Pd, cerca di analizzare la posizione dei romeni in questo scenario. Provando a spiegare al Corriere del Veneto perché sono restii al vaccino.
«Per quanto riguarda la Romania credo che dipenda dal livello culturale. ancora un paese rurale, poco urbanizzato rispetto agli altri Stati europei: il 47% della popolazione, ridotta rispetto alle dimensioni del territorio, vive in campagna e probabilmente non sente l’esigenza di ottenere il green pass per coltivare i campi o mungere le mucche. E nonostante ciò il Sistema sanitario funziona e la Romania è sempre stata all’avanguardia per le altre vaccinazioni. Quelle obbligatorie per i bambini le abbiamo fatte tutti, senza problemi».
Mentre il resto d’Europa si va verso il 70% di vaccinati, a Bucarest torna il coprifuoco
Ci tiene poi a sottolineare: «Anch’io mi sono vaccinato, per proteggere me stesso e gli altri, non è bello passare da untore temo che un certo peso sulla situazione nel mio Paese l’abbia avuto la propaganda no vax del partito di estrema destra, l’Aur. Nei giorni scorsi ha perfino esposto lo striscione con la scritta “Libertà” davanti alla sede del governo».
Insomma, una situazione molto diversa rispetto al resto d’Europa. Mentre in Italia e negli altri stati si viaggia verso il 70% di immunizzati, a Bucarest è tornato il coprifuoco dalle 20 alle 5 che vale però solo per i non vaccinati. Misure che non sembrano poi così lontane da quanto potrebbe decidere di mettere in atto il nostro governo da un momento all’altro.
Per le aziende venete con lavoratori stagionali provenienti dall’Est Europa tutto cambierà il 15 ottobre con l’entrata in vigore dell’obbligo del Green Pass
Per quanto riguarda le aziende venete, tutto cambierà il 15 ottobre, con l’obbligo del Green Pass per tutti i lavoratori. A quel punto le aziende agricole saranno costrette ad allontanare i dipendenti stagionali non vaccinati o a costringerli alla vaccinazione.
Alberto Bertin, a capo dell’Ufficio legislativo di Coldiretti Veneto, spiega come stanno le cose in questo momento. «Le aziende agricole stanno spedendo un sollecito al personale e come associazione abbiamo stretto un accordo con Spisal, Azienda Zero e le Usl per l’accesso libero a giornate di vaccinazione dedicate ai lavoratori dell’agricoltura. Purtroppo però l’adesione è bassa tra gli stagionali dell’Est, impiegati nella raccolta della frutta, nella potatura e nelle serre e che rappresentano un terzo del totale. C’è una resistenza reale. Il problema è che poi non potranno assentarsi dal lavoro per affrontare due o tre tamponi a settimana per non parlare del costo. Parliamo di 15 euro a test, il che significa pagare minimo 120 euro al mese e su uno stipendio di 1200 non è poco»
