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Il malessere dei giovanissimi: Covid o molto altro? La parola all’esperto

Si parla spesso delle conseguenze psicologiche che il Covid e le restrizioni stanno avendo sui nostri ragazzi. In questa analisi lo psichiatra veronese Luigi Trabucchi fa un punto della situazione. Sfatando qualche luogo comune e le troppe verità di comodo

In questi primi mesi del 2021 il disagio dei più giovani sta impegnando i giornalisti nella cronaca, le forze dell’ordine nel lavoro quotidiano e gli psichiatri nella clinica. Visto il momento pandemico si tende ad associare questo disagio alla situazione di chiusura, alla mancata presenza a scuola e comunque cercare le cause nel momento. Tutto ciò a me sembra molto inappropriato.  Il virus è entrato come un fiammifero acceso, ma la stanza era già piena di gas e pronta ad esplodere. I veri problemi sono pregressi”.

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“I giovani dai 18 ai 25 anni circa sono spesso, troppo spesso, i figli, pur senza una stupida generalizzazione, di una generazione di genitori e di una società che ha vissuto, insegnato e trasmesso, quando lo ha fatto, dei significati del vivere totalmente legati all’”Io”, all’egocentrismo. Il senso della vita che è stato proposto nell’esempio e nelle parole degli adulti è l’immagine, il successo, i soldi facili, il lavoro in funzione del tempo libero e non come significativo per sé stesso, lo svago, una superficialità diffusa, un sentire emotivo sempre “di pancia”, del “mi piace”, della soddisfazione personale e del consumo, dello sfruttamento per me. Tutto ciò associato dal fare, come essere attivi, riempire il tempo, non fermarsi al pensare, alla riflessione”.

I figli non sono stati vissuti e riconosciuti come persone con una loro identità, dignità e autonomia personale, ma vengono sentiti dai genitori come una appendice di sè stessi, un allargamento del proprio IO e come tali vengono gratificati e dato loro ciò che ai genitori è mancato o desiderano. In quest’ottica non si “vedono” i figli, non si osservano, ascoltano, accolgono e non si educano. In nome di una libertà, o meglio falsa libertà, sono in realtà non solo non indirizzati nelle scelte, ma abbandonati a sè stessi sul piano educativo e della testimonianza valoriale. Del resto spesso questi genitori sono loro stessi vuoti di valori e di significato della vita, al di là del “godersela”. Ovviamente sempre senza generalizzare, hanno la sensazione di non sentirsi visti, ascoltati, osservati, accolti nelle loro esigenze e istanze da un mondo degli adulti che invece chiaramente e dichiaratamente li cerca e li corteggia solo come possibili clienti, acquirenti, consumatori”.

Dopo anni in cui i nostri giovanissimi sono vissuti con questa esperienza, quando si confrontano con il mondo reale in cui dovrebbero entrare ed inserirsi, i messaggi sono completamenti diversi. Il mondo è cambiato e il Covid ha solo accentuato questo cambiamento, non lo ha causato. Le parole che incontrano sono competitività, formazione, preparazione, impegno, insicurezza, mancanza di prospettiva, futuro incerto, attesa, pazienza, attenzione alle risorse, conservazione delle stesse, precarietà del lavoro, dell’economia. Dalla politica al lavoro, all’affettività tutto è precario insicuro, non è possibile programmare il futuro. I giovani sono disorientati e cercano il senso della vita, il significato della stessa, il valore dello stare nel mondo, pensando anche al suicidio come fuga e rifugio dalla mancanza di senso della vita che li attanaglia”.

A questo silenzio e disinteresse del mondo adulto anche il più vicino, che è impegnato a pensare a sé, rispondono con turbe emotive, depressive e pensieri di “avere una data di scadenza autogestita” o rifugiandosi nella droga o in altri mezzi di anestesia mortale, oppure facendo “rumore” e battendo la grancassa della piccola criminalità che li porta all’attenzione della cronaca, all’attenzione degli adulti. Tutto ciò, almeno per un giorno, li fa sentire protagonisti ascoltati.  E in questo dramma, contraddizione, ridotta speranza e fiducia che si trovano a vivere. Se vogliamo fare un esempio molto attuale e concreto, il problema di cui si parla oggi nella pandemia è la “didattica” a distanza o in presenza. Cosa significa “didattica”, significa riempire di nozioni, è un processo visto dalla parte degli adulti. Al limite il problema della didattica a distanza è anche il problema degli adulti di dove parcheggiare i figli mentre loro devono lavorare. Non si parla più di formazione, educazione, confronto, ascolto, incontro con i giovani. Per i ragazzi invece il problema è legato alla socializzazione spesso fine a se stessa come gli hanno insegnato i genitori quelli per il quale l’aperitivo, la cena sono il Valore”.

Se non è possibile trovare spazi ampi per mantenere le distane fisiche per proporre ascolto, educazione, incontro formazione per i giovani, si dovrebbero almeno utilizzare gli strumenti informatici, già usati al mattino per la didattica, ad esempio nel pomeriggio per organizzare spazi di incontro, socializzazione, ascolto di quanto i giovani chiedono”.

Non dobbiamo inventare nulla di nuovo, solo forme nuove. Questi problemi delle generazioni che faticano a confrontarsi c’è sempre stato. Dovremmo studiare e copiare da chi ha già affrontato con saggezza, animo buono e amore questo problema: solo per citare alcuni San Filippo Neri, San Giovanni Bosco e, qui da noi, San Gaspare Bertoni e San Giovanni Calabria, che nel loro tempo hanno saputo raccogliere ed accogliere, amandoli ed incontrandoli, i giovani più difficili del loro tempo, i piccoli “delinquenti” ricercati dalle autorità di polizia come avviene ancora oggi”.

Verona 13 Marzo 2021

Dottor Luigi Trabucchi – Psichiatra

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