Il commerciante di Oderzo che si è dato fuoco, seppur vaccinato, era rimasto intrappolato nelle maglie della burocrazia e nelle regole del Green Pass
La vita del commerciante di Oderzo che sabato scorso si è dato fuoco, è appesa a un filo. Il motivo del suo gesto è la seconda multa in due giorni, ricevuta perché senza Green Pass. Quello che rende ancora più assurda questa vicenda, è il fatto che si era vaccinato giusto mezz’ora prima, ma era rimasto incastrato nelle maglie della burocrazia.
Non solo in quell’ultima mezz’ora, ma da settimane. Infatti, era impossibilitato a fare un tampone inquanto i carabinieri, che avrebbero dovuto vigilare sul suo rispetto di un obbligo di dimora a cui era sottoposto, gli avevano dato pareri contrastanti. Prima dicendogli che poteva recarsi nella vicina farmacia, e poi invece ritrattando il tutto.
Al lavoro senza Green Pass, eppure si era appena vaccinato, ma non basta e decide di darsi fuoco
Nadeem Faraz, pakistano di 37 anni, spiegava così la sua posizione al suo avvocato, Katia Meda. «Ma io ho bollette da pagare, devo fare la spesa, ho un parcella per spese legali che devo saldare». Così ha deciso di lavorare lo stesso, anche senza Green Pass. La necessità superava la paura del rischio.
Una situazione esasperante, al limite dell’assurdo. Alla seconda visita dei carabinieri, alla seconda multa di 420 euro che gli impediva ormai di lavorare anche il giorno seguente, con la conseguente chiusura dell’attività, ha preso il liquido infiammabile e si è dato fuoco.
Sarebbe cambiato qualcosa se avesse mostrato ai militari il foglio cartaceo che testimoniava l’inoculazione del vaccino a domicilio giusto poco prima, sebbene non ancora registrato? Forse no.
Imbrigliato in una burocrazia che l’ha portato allo stremo, fino a un gesto davvero eclatante e disperato
Il commerciante pakistano di 37 anni, Nadeem Faraz era arrivato in Italia già nel 2014. Era dovuto scappare dal Pakistan in seguito a una faida familiare, per approdare dapprima in Grecia, dove è finito sotto processo per possesso di hashish.
Raggiunge così Oderzo, dove abita uno zio che gestisce un chiosco di kebab, e comincia a lavorare con lui, per mantenersi. Una nuova vita, una seconda possibilità. Almeno fino a oggi. Senza permesso di soggiorno è tutto più complesso, e l’iter per ottenerlo ancora di più.
Chiede che gli venga almeno assegnato un medico, ed è qui che le cose si complicano. Lo spiega bene il suo avvocato: «Abbiamo battagliato nei meandri della burocrazia fino a quando siamo riusciti a garantirgli l’assistenza sanitaria. Era contentissimo, finalmente nella sua vita c’era uno spiraglio di normalità. L’unico problema era rappresentato dai tempi del vaccino, ma nessuno di noi pensava che sarebbe finita così».
