La storia dei cavalli di bronzo simbolo della Basilica di San Marco, scampati alle due guerre mondiali, viaggiano alla conquista del mondo prima di ritirarsi nel Museo marciano
Quattro parti come i quattro cavalli, per raccontare la storia della quadriga dorata che dalla notte dei tempi traina lo spirito imperiale lungo i secoli. Abbiamo seguito la folle corsa dalla Grecia a Costantinopoli, dall’ippodromo alla piazza di San Marco. E ancora lungo il tragitto delle truppe napoleoniche fino a Parigi e il ritorno a Venezia sotto la garanzia austriaca. Ma la ruota della Storia gira, e le bandiere degli Asburgo nel volgere di alcuni anni non sono più un picchetto d’onore per i cavalli, ma insegne di guerra dei nemici.
Scappati a Roma per evitare di essere nuova preda durante la Prima guerra mondiale, i cavalli tornano a Venezia. Dopo una sosta a Palazzo Ducale per leccarsi le ferite, l’11 novembre 1919 la quadriga viene issata ancora una volta sopra la porta della Basilica di San Marco. Ma a Palazzo Ducale tornerà, dopo una sosta a Praglia, durante la Seconda guerra mondiale. Nei sotterranei del palazzo attenderanno la fine del conflitto, e rivedranno la luce – e la Basilica di San Marco – nell’agosto del 1945. I cavalli non conosceranno altre guerre, ma dovranno affrontare gli eventi atmosferici ed iniziare ad avere paura del tempo, dopo tanti secoli di vita.
Il restauro dei cavalli, un evento internazionale
Alla fine degli anni ’60 si impone il tema del loro restauro. Un restauro più organico rispetto ai tanti ‘ritocchini’ fatti durante tutta la loro vita. Non si passa indenni attraversando la storia: solo il trasporto da Costantinopoli a Venezia costò un piede ad uno dei cavalli, che fu sostituito. Non fu senza conseguenza nemmeno la trasferta parigina (si staccò addirittura una testa da un cavallo) e prima di riaffacciarsi da San Marco la quadriga fu ricoverata all’Arsenale. Nel 1842 una delle statue fu oggetto di rinforzo perché rischiava di cadere dal proprio basamento, e altri restauri coinvolsero i cavalli anche nel Novecento.
Nel 1902 una delle zampe di un cavallo stava per fare la fine di settecento anni prima; e quando tornarono da Roma, dopo la Prima guerra mondiale, presentavano delle ammaccature che furono sistemate. Quando si aprì il dibattito negli anni ’60, quindi, si trattava di impedire che un’ulteriore goccia potesse far traboccare il vaso. Le analisi a cui furono sottoposte le statue evidenziarono infatti i segni distruttori del tempo e imposero la necessità di intervenire in modo più radicale.
Il restauro della quadriga non poteva non agitare le acque: vide Venezia opporsi allo spostamento – ancora una volta – delle statue a Roma per l’intervento; animò l’opinione pubblica e La Stampa aprì una sottoscrizione; per sostenere il recupero venne coinvolta la Olivetti, reduce dal salvataggio degli affreschi colpiti dall’alluvione di Firenze del 1966. Il restauro diventò un volano per convogliare energie, pubblico e finanziamenti: è proprio la Olivetti a organizzare le mostre che resteranno negli annali e faranno fare ai cavalli – o meglio, a parti di loro – un ultimo valzer in giro per il globo.
Dalla tournée mondiale al buen retiro nel Museo di San Marco
Ribattezzati A, B, C, D i cavalli affrontano la perdita della loro sacralità. Come vecchie rockstar, vengono costretti a viaggiare per fare cassa, per riempire i botteghini. Un’ultima tournée prima del ritiro definitivo dalle scene. Le mete che questa volta la storia mette sul cammino delle statue sono Londra, New York, Montreal, Città del Messico, Parigi (senza più Napoleone) e Milano.
“I Cavalli di San Marco” diventa una mostra che raccoglie in giro per il mondo oltre 2 milioni di visitatori. E’ il cavallo B il frontman del gruppo per il tour fra il 1979 e il 1980. Appare alla Royal Academy di Londra, poi al Metropolitan Museum di New York (dove raccoglie il maggior successo) e al Museo d’Arte moderna di Città del Messico. Di ritorno in Europa, si ferma al Gran Palais di Parigi. Nel giugno del 1980 è invece la testa del cavallo A ad abbandonare il corpo a cui era stata unità ventiquattro secoli prima, per apparire spettrale a Montreal. Il gran finale è a Milano, dove tutti e quattro i cavalli si riuniscono (disposti su di una quadriga vera) a Palazzo Reale.
Intanto vengono preparate delle copie delle statue, con l’impossibile compito di sostituire un simbolo che non è solo un’opera d’arte. Nel 1982, i cloni prendono definitivamente il posto degli originali sul pronao della Basilica. I Cavalli di San Marco, dopo secoli di vita passata all’aria aperta, vengono infine ricoverati nel museo della Basilica a Venezia. Fino a quando l’anima della storia non tonerà a farli galoppare.
