Guerriero fedele all’Impero, mecenate amico anche di Dante e conquistatore di quello che sarebbe potuto essere un potente regno: ritratto di Cangrande della Scala, Signore di Verona. Il Principe che dopo 700 anni i veronesi ancora amano. Con indagine sulla sua misteriosissima morte
Cangrande della Scala (1291-1329) è il personaggio più famoso e importante della storia di Verona. Sotto la sua guida la città divenne uno dei centri più potenti e influenti del nord Italia. Il suo mecenatismo portò a Verona artisti di alto calibro come Giotto e Dante. La sua scomparsa prematura è stata oggetto di mistero, ma alcuni studi, effettuati nel 2004, forse sono riusciti a dare una risposta alla sua morte. Il vero nome di Cangrande era Can Francesco, terzogenito di Alberto della Scala. Quando il fratello maggiore Bartolomeo morì nel 1304 Cangrande affiancò il secondogenito Alboino alla guida della città. I due fratelli fin da subito avevano affiancato Bartolomeo nella gestione politica, amministrativa e militare di Verona e del suo territorio.
Consolidarono ulteriormente i possedimenti territoriali attorno a Verona, ponendo basi importanti sulla costa orientale del lago di Garda e mantenendo il controllo su Este, Vicenza, Parma e Brescia. Cangrande dimostrò da subito di essere in grado di gestire il comando e la politica. Quattordicenne era già in grado di condurre abilmente le truppe veronesi in battaglia e appena maggiorenne fu nominato dal fratello Capitano del Popolo, comandante in capo dell’esercito scaligero.
Grazie alle capacità politiche e militari di Cangrande, Verona divenne fulcro come mai prima d’allora degli equilibri di potere nel nord Italia
Nel 1310 Arrigo VII di Lussemburgo venne eletto re dei Romani da un consiglio popolare tedesco. Arrigo VII giunse a Milano per ricevere la corona di re. Attorno al sovrano si erano radunati i maggiori esponenti della parte imperiale e papale compresi Alboino e Cangrande che vennero nominati vicari imperiali e l’aquila con le sue ali dispiegate veniva aggiunta alla scala dello stemma scaligero. Verona, con gli Scaligeri, continuava ad essere un importante punto di riferimento dei ghibellini nella Marca. Alboino tuttavia venne a mancare nel 1311 lasciando il giovane Can Francesco solo al governo di Verona.
Si apriva così una delle stagioni più splendide e prospere nella storia della città. Grazie alle capacità politiche e militari di Can Francesco, che ben presto venne soprannominato Cangrande, Verona divenne fulcro come mai prima d’allora degli equilibri di potere nel nord Italia. Tanto da assumere il ruolo centro artistico e culturale grazie alla ricca corte che si sviluppò attorno al signore scaligero. Ancor oggi, a distanza di settecento anni dalla sua scomparsa, la città sembra ricordarlo con nostalgia.
La politica e le battaglie
All’inizio Cangrande fu impegnato, militarmente e diplomaticamente, nel consolidamento di quanto acquisito fino a quel momento da Verona. La Marca, ossia il Veneto, restava in un fragilissimo equilibrio. Il nemico principale era Padova, unica città che, per peso politico militare, si frapponeva tra Cangrande e l’unificazione ghibellina della Marca. Ottenuto il vicariato, Cangrande già nel 1311, assieme alle truppe imperiali è a Vicenza, dove appena ventenne, espugna e riprende il controllo della città. Le fulminee cavalcate di Cangrande dall’uno all’altro fronte, portarono alla fine alla resa di Padova.
La morte improvvisa di Arrigo VII a Bonconvento presso Pisa nel 1313 parve infrangere i sogni di pacificazione dell’Italia e le aspirazioni degli imperiali. Nel 1318 una nuova speranza nacque nell’ambiente ghibellino quando si strinse una lega fra Verona, Milano e Mantova. Il 13 dicembre 1318, a Soncino, Cangrande venne acclamato capitano delle forze coalizzate prendendo, non solo simbolicamente, la guida ghibellina del nord est.
Le Mura
Tra le opere più importanti che Cangrande ha lasciato a Verona vi sono le mura difensive. Egli spostò la linea difensiva della città a sud, includendo monasteri e quartieri che erano sorti nell’arco di due secoli. A nord realizzò un imponente muro rinforzato da torri che correva lungo i crinali delle colline. La visione strategica della difesa cittadina fu così previdente che resistette, con semplici adattamenti all’evoluzione tecnologica, per più di 500 anni. Fino all’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866. I castelli scaligeri sparsi sul territorio attorno a Verona possono addirittura essere visti come un’anticipazione del sistema difensivo a “campo trincerato” sviluppato dagli strateghi asburgici nel XIX secolo.
Nella visione di Cangrande Verona avrebbe avuto il ruolo capitale di una grande potenza regionale nello scacchiere nord-italiano e necessitava quindi di un adeguato sistema difensivo.
Dante vedeva in Cangrande quel signore ideale che avrebbe forse potuto pacificare l’ormai indomita e selvaggia Italia
Il bassorilievo in bronzo presso la chiesa di Sant’Elena raffigura l’abbraccio tra Dante e Cangrande della Scala. Il rapporto tra il Sommo Poeta e il principe fu di reciproca stima e ammirazione. Dante era stato brevemente a Verona durante la signoria di Bartolomeo, all’inizio del suo esilio. Aveva visto Cangrande poco più che bambino e il loro incontro fu spunto per scrivere lodi di grande ammirazione nella Divina Commedia:
Con lui vedrai colui 28 che ’mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l’opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
…
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici
Paradiso – Canto XVII
Dante tornò a Verona attorno al 1312. La permanenza del sommo poeta questa volta fu più lunga e durò almeno fino al 1318. Molto si è discusso sui rapporti tra Dante e Cangrande, però tra i due si instaurò un rispetto reciproco. Cangrande, nonostante il mestiere d’arme cui si era dedicato con passione fin da giovanissimo, amava la cultura e l’arte. Dante gli dedicò l’ultima cantica della Commedia, il Paradiso. Forse vedeva in Cangrande quel signore ideale che avrebbe forse potuto pacificare l’ormai indomita e selvaggia Italia. Il figlio di Dante, Pietro, poté studiare legge a Bologna grazie al sostegno economico di Cangrande.
La morte di Cangrande della Scala da Verona: il mistero svelato
Nel 1329 Cangrande conquista Treviso. Sembra ormai compiuta l’unificazione della Marca sotto il potere scaligero. Appena entrato trionfalmente nella città da poco conquistata ha un malore e dopo qualche giorno muore. La tradizione attribuiva il malore a una congestione per aver bevuto della fredda acqua di fonte in una afosa giornata di giugno, accaldato per la cavalcata con addosso armatura.
Nel 2004, al culmine di un progetto di studio e ricerca sugli scaligeri e sulle arche, si decise di aprire il sarcofago di Cangrande della Scala. Non era la prima volta che ciò avveniva. Già nel 1921 era stato sollevato il coperchio. All’epoca erano stati asportati alcuni tessuti in cui la salma di Cangrande era stata avvolta, e la spada del signore scaligero, ora conservata a Castelvecchio. Nell’aprire la tomba si era constatato che il corpo di Cangrande aveva subito un naturale processo di mummificazione.
Il corpo del signore scaligero è stato sottoposto a una vera e propria autopsia. I risultati hanno risolto il mistero che avvolgeva l’improvvisa morte di Cangrande
Nel 2004 quindi si decise di asportare la mummia e compiere una serie di analisi con le più moderne tecnologie. Da questo studio sono emerse moltissime informazioni preziose. Il corpo del signore scaligero è stato sottoposto a una vera e propria autopsia. I risultati hanno risolto il mistero che avvolgeva l’improvvisa morte di Cangrande, ma hanno aperto molti altri interrogativi che a 700 anni di distanza sono ancor più difficili da risolvere.
L’analisi dei campioni estratti dall’intestino di Cangrande ha evidenziato abbondante presenta di digitalis purpurea. Si tratta di una pianta che produce bellissimi fiori a campanula. Oggi il principio attivo di questa pianta, in minime dosi accuratamente calibrate, è utilizzato come stimolante cardiaco, ma all’epoca era conosciuta solo come veleno. L’analisi alla tac ha inoltre messo in luce una cirrosi, probabilmente virale, in stato avanzato e numerose fratture ricomposte, segno che Cangrande combatteva le sue battaglie in prima persona.
Cangrande, col suo crescente potere, doveva essersi procurato molti nemici, dentro e fuori Verona. Tra i principali sospettati per l’avvelenamento di Cangrande vi è il cugino Mastino II. Non avendo il principe figli maschi legittimi, il primo in linea di successione era proprio Mastino che infatti divenne il nuovo signore di Verona.
Con la morte di Cangrande iniziò il cambiamento di ruolo della signoria scaligera e il progressivo indebolimento del peso politico di Verona sullo scacchiere geopolitico italiano.
