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Ci lascia Marco Bollesan, la leggenda azzurra del rugby

Si spegne all’età di 79 anni Marco Bollesa, leggenda del rugby azzurro. Originario di Chioggia, è stato giocatore leggendario della nazionale italiana, arrivando ad allenarla. E’ considerato il giocatore italiano di rugby più iconico dell’era pre-professionistica

Ci lascia a 79 anni Marco Bollesan, leggendario capitano del rugby italiano. Originario di Chioggia, ma genovese d’adozione, più che Terza linea centro era stato un vero e proprio guerriero. Quarantasette le presenze che aveva collezionato in Nazionale. Era diventato famoso in tutto il mondo nel 1972, quando aveva guidato gli azzurri nella prima vera serie di sfide internazionali in Rhodesia e Sudafrica. Riuscendo a sconfiggere i Leopards, la nazionale nera sudafricana. Vedovo, si è spento con le due adorate figlie al suo fianco, affrontando l’ultima fatica con lo spirito che lo aveva sempre contraddistinto.

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Ma il grande amore, per Marco Bollesan, era stato quello per i colori del Cus Genova. La società sportiva di rugby che lo aveva strappato ai vicoli malfamati

Marco Bollesan era stato un campione vero. Storico il suo esordio in azzurro nel ’63 contro la Francia. Quel giorno, da tutti ricordato come la MalaPasqua, l’Italia perse di soli 2 punti conquistandosi il rispetto dei ben più blasonati avversari. Due gli scudetti vinti rispettivamente con il Brescia e il Partenope Napoli. Aveva indossato anche la maglia del Cus Milano. Ma il grande amore, per lui, era stato quello per i colori del Cus Genova, la società sportiva che lo aveva strappato ai vicoli malfamati. “Sapevo solo fare a botte: se non ci fosse stato il rugby, chissà dove sarei finito” ricordava sempre Bollesan. La squadra era all’epoca sponsorizzata dall’Italsider, per cui Bollesan faceva anche l’operaio. Tre volte sfiorò il titolo di Campioni d’Italia con Genova, tre volte lo perse. A beffarlo tutte le volte proprio una compagine veneta, quella del Petrarca Padova.

Marco Bollesan si era ritirato poi dai campi solo per sedersi sulle panchine: da grande campione a grande allenatore, il passo fu breve. Nel 1987, come tecnico della Nazionale italiana, raggiunse il risultato storico dei quarti di finale sfiorati in un girone con Nuova Zelanda, Argentina e Fiji. Era stato tecnico di molti club italiani, tra cui Milano, Livorno, Alghero e la sua amata Genova. Sempre venerato dai suoi giocatori. Il suo nome è già oggi presente nel Pantheon degli sportivi italiani, al Foro Italico.

L’epitome del rugbista coraggioso. Il simbolo di un Gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici

“Per i rugbisti della mia generazione – ha commentato con dolore il Presidente della Federazione Italiana Rugby, Marzio Innocenti – per chiunque abbia praticato lo sport tra gli Anni ’60 e gli Anni ’80, ma anche per chi è venuto dopo Marco Bollesan è stato un esempio. L’epitome del rugbista coraggioso. Il simbolo di un Gioco dove fango, sudore e sangue rappresentavano i migliori titoli onorifici. Ha contribuito a far conoscere il rugby nel nostro Paese ben prima della rivoluzione professionistica del 1996. Incarnando lo spirito del rugby italiano per oltre due decenni e rivestendo anche negli anni successivi al suo ritiro dal campo una serie di ruoli strategici per la Federazione. Gli saremo eternamente grati per il suo straordinario contributo. Ed io, in particolare, porterò sempre nel cuore i suoi insegnamenti e l’onore che mi riconobbe assegnandomi, da Commissario Tecnico, i gradi di capitano della Nazionale durante la propria gestione”.

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