E se esistesse un gene anti-età in grado di farci invecchiare in salute? Ecco la scoperta di alcuni ricercatori italiani
Film come “Adaline- Eterna giovinezza” o storie come quella della Pietra Filosofale, meglio conosciuta come elisir di lunga vita, ci fanno sognare ad occhi aperti rispetto ad un’ ipotetica cura contro la morte, un modo per poter vivere per sempre in salute e al meglio delle nostre condizioni.
La battaglia contro lo scorrere del tempo per il momento è persa in partenza: l’essere umano, come qualsiasi altro essere vivente, nasce, cresce, invecchia e muore.
Ma diciamo che la penultima fase prima dell’inesorabile fine, può essere vissuta in modi molto differenti. Infatti, vi siete mai chiesti come mai alcune persone passano una vecchiaia tendenzialmente in salute prima di andarsene improvvisamente, mentre altri attraversano malattie e periodi debilitanti? Il segreto potrebbe essere l’attivazione del gene Mytho.
Mytho: il gene della buona vecchia
Uno studio che ha coinvolto le Università di Padova, Bologna, Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli e l’Istituto Superiore di Sanità, poi pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, ha dimostrato l’esistenza di un gene particolare, soprannominato Mytho.
I ricercatori, grazie ad una ricerca internazionale durata la bellezza di nove anni, hanno dimostrato che disattivare questo gene provoca un invecchiamento cellulare più rapido, mentre la sua attivazione riesce a garantire un buono stato di salute anche durante l’invecchiamento fisiologico dell’individuo.
Ecco le parole di Marco Sandri, uno dei ricercatori che hanno preso parte a questa scoperta:
“È stato un lavoro lungo e impegnativo che ha coinvolto molti centri nazionali ed internazionali, perché quando si studia la parte di genoma ancora sconosciuta si parte da zero e il rischio di non trovare nulla di interessante è elevato”.
“La maggior parte del nostro codice genetico è ancora ignota, ad esempio più di 5mila geni che codificano per proteine su un totale di 20mila sono ancora del tutto sconosciuti. Per questo, negli ultimi anni, abbiamo impiegato risorse ed energie per caratterizzare questa parte inesplorata del nostro DNA”.
È impressionante pensare a quanto poco si sappia ancora oggi del nostro patrimonio genetico: pur trattandosi di qualcosa dentro di noi, che ci appartiene da migliaia di anni, resta in gran parte, ancora oscuro.
Autofagia cellulare
“Ci siamo concentrati sul gene Mytho perché risultava avere un ruolo nell’autofagia, l’unico meccanismo che consente alle cellule di rimuovere molecole e altre strutture danneggiate”
Autofagia deriva dal latino e significa appunto auto mangiarsi: la cellula va a distruggere parti di sé stessa che non lavorano più correttamente e letteralmente le mangia. Questo meccanismo permette alla cellula di ottenere nuova energia cibandosi delle parti deteriorate e a rimuovere scarti potenzialmente dannosi per il suo stesso funzionamento.
Le disfunzioni di questo meccanismo sono implicate nello sviluppo di malattie come Parkinson, diabete, cancro e disturbi del sistema immunitario.
Il gene Mytho promuove l’autofagia, consentendo alle cellule di vivere più a lungo e in buona salute. Una sua disattivazione implica invece un deterioramento cellulare, dovuto al fatto che le cellule smettono di auto mantenersi attraverso autofagia. Lo studio ha mostrato che l’inibizione del gene Mytho provoca un invecchiamento cellulare precoce, portando le cellule a smettere di replicarsi.
Invecchiamento legato a geni più lunghi
Una ricerca recente, che risale a marzo di quest’anno, ha posto l’accento invece sulla lunghezza dei geni, che ha coinvolto quattro gruppi di ricerca in Spagna, Paesi Bassi, Germania e Stati Uniti.
Ecco le conclusioni di questo studio:
“Per molto tempo le ricerche sull’invecchiamento si sono concentrate sui geni associati a questo fenomeno, ma la nostra spiegazione è che si tratta di un fenomeno molto più casuale: è un fenomeno fisico legato alla lunghezza dei geni e non ai geni specifici coinvolti o alla funzione di tali geni.”
I geni lunghi avrebbero più probabilità di essere danneggiati rispetto a quelli corti, e siccome alcuni tipi di cellule tendono ad avere geni lunghi, è più probabile che sviluppino più danni al DNA. Per farvi un esempio, le cellule nervose sono quelle con geni più lunghi, nonché quelle che tendono a deteriorarsi maggiormente durante l’invecchiamento.
In ogni caso, i ricercatori di tutto il mondo stanno cercando all’interno del nostro patrimonio genetico nuove risposte importanti per il futuro dell’uomo, non tanto nella speranza di trovare una cura miracolosa all’invecchiamento o alla morte, ma ad alcune malattie di origine genetica di cui tutt’ora non ci si spiega l’origine.