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Alaska, i ghiacciai sono sempre meno: 108 non esistono più

I ricercatori pensano che i processi osservati a Juneau possano influenzare altri campi di ghiaccio simili altrove in Alaska e Canada, così come in Groenlandia, Norvegia e altre località dell’Alto Artico

Tra le conseguenze del cambiamento climatico c’è anche lo scioglimento dei ghiacciai in Alaska che sta accelerando più velocemente di quanto si potesse prevedere. A suggerirlo è la ricerca condotta da scienziati dell’Università di Newcastle, nel Regno Unito. Lo studio ha evidenziato come lo scioglimento dei ghiacciai sul Juneau Icefield, che si estende al confine tra l’Alaska e la Columbia Britannica, in Canada, è aumentato drasticamente dal 2010. Il 100% dei ghiacciai mappati nel 2019 si è ritirato rispetto alla posizione in cui si trovava nel 1770 e 108 ghiacciai sono completamente scomparsi. L’analisi rivela che il tasso di restringimento dell’area dei ghiacciai a livello dell’intero campo di ghiaccio è stato cinque volte più rapido nel periodo 2015-2019 rispetto al periodo 1948-1979.

Cosa dice la ricerca

I risultati allarmanti derivano dallo studio, guidato da Bethan Davies, pubblicato sulla rivista Nature Communications. Gli esperti hanno utilizzato dati raccolti dal 1770: una combinazione di inventari storici dei ghiacciai, fotografie aeree d’archivio e immagini satellitari, ma anche mappature geomorfologiche condotte durante il lavoro sul campo nel 2022, per ricostruire un quadro completo dei cambiamenti avvenuti negli ultimi 250 anni.

L’assottigliamento è diventato pervasivo in tutto l’altopiano del campo di ghiaccio dal 2005, accompagnato dalla recessione e dalla frammentazione del ghiacciaio. L‘aumento delle altitudini della linea di equilibrio e l’aumento dell’ablazione attraverso l’altopiano hanno determinato una serie di feedback di accelerazione della fusione controllati ipsometricamente e hanno portato all’accelerazione osservata nella perdita di massa. Mentre l’assottigliamento dei ghiacciai sull’altopiano continua, è probabile che un feedback di bilancio di massa-elevazione inibisca la futura ricrescita dei ghiacciai, spingendo potenzialmente i ghiacciai oltre un punto di svolta dinamico“, si legge nella ricerca.

Alaska | pixabay @cello5 – Ilserenissimoveneto.it

Gli autori hanno identificato tre periodi distinti associati a cambiamenti nel volume di ghiaccio:

  • tra il 1770 e il 1979 la perdita è stata pressoché costante, compresa tra 0,65 e 1,01 chilometri cubici l’anno,
  • tra il 1979 e il 2010 sono stati perduti in media 3,08-3,72 km 3 ogni anno,
  • mentre dal 2010 al 2020 il tasso di perdita è raddoppiato, raggiungendo i 5,91 chilometri cubici ogni anno.

L’accelerazione del tasso di fusione che abbiamo riscontrato è incredibilmente preoccupante i ghiacciai dell’Alaska sono prevalentemente pianeggianti e pertanto sono particolarmente vulnerabili allo scioglimento accelerato dovuto al riscaldamento climatico, poiché la perdita di ghiaccio interessa l’intera superficie, il che significa che viene interessata un’area molto più vasta. I processi che abbiamo osservato a Juneau potrebbero manifestarsi anche in altre realtà simili”, ha commentato Bethan Davies. “Le calotte glaciali e i ghiacciai più piatti non possono ritirarsi a quote più elevate e trovare un nuovo equilibrio. Mentre il ghiacciaio sull’altopiano di Juneau continua ad assottigliarsi e il ghiaccio si ritira verso livelli più bassi e con aria più calda, è probabile che i processi di feedback che ciò mette in moto impediscano la futura ricrescita dei ghiacciai, spingendoli potenzialmente oltre un punto di non ritorno verso una recessione irreversibile“, ha aggiunto.

Il nostro lavoro – ha dichiarato Robert McNabb, dell’Università di Ulster – suggerisce che le proiezioni attuali potrebbero sottostimare il rischio di perdita di ghiaccio. Gli archivi a lungo termine rappresentano una risorsa incredibilmente preziosa, perché ci permettono di osservare le alterazioni del paesaggio con un dettaglio senza precedenti”.

Il dott. Robert McNabb, docente di telerilevamento presso l’Università dell’Ulster, ha affermato: “Ciò che è stato davvero entusiasmante di questa ricerca è stato mettere insieme migliaia di fotografie aeree d’archivio per estrarne l’elevazione, il che ci ha fornito una panoramica molto dettagliata del comportamento a lungo termine del campo di ghiaccio. Mettere insieme questo archivio di fotografie, raccolte 70 e 50 anni fa, è stato un po’ come risolvere il puzzle più difficile del mondo, ma la qualità delle immagini ci ha permesso di ricostruire per la prima volta l’elevazione del campo di ghiaccio nell’era pre-satellite. Archivi a lungo termine come questo sono una risorsa incredibilmente preziosa, poiché ci consentono di comprendere molto meglio le soglie per l’accelerazione del cambiamento, come abbiamo visto sul campo di ghiaccio di Juneau”, ha concluso.

I ricercatori pensano che i processi osservati a Juneau possano influenzare altri campi di ghiaccio simili altrove in Alaska e Canada, così come in Groenlandia, Norvegia e altre località dell’Alto Artico.

Giuliana Presti

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