Negli anni il redditometro di cui si parla molto da ieri è stato usato pochissimo dall’Agenzia delle Entrate e ha raccolto solo poche centinaia di migliaia di euro
Mercoledì sera, con un video sui social network, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato la sospensione del decreto ministeriale che introduceva nuove regole sul “redditometro”.
Questo metodo dell’Agenzia delle Entrate compara le spese di un contribuente con il reddito dichiarato per individuare eventuali somme evase in caso di incoerenza tra i due valori.
Meloni ha spiegato che, poiché i controlli sono sulle spese, il termine più corretto sarebbe “spesometro” e non redditometro. La decisione ha messo fine alle polemiche politiche all’interno della maggioranza, che erano durate tutto il giorno.
Da redditometro a spesometro, come mai l’Agenzia delle Entrate non si è mai affidata troppo a questo strumento?
Le nuove regole sul redditometro erano state decise dal ministero dell’Economia, in particolare dal viceministro Maurizio Leo di Fratelli d’Italia, responsabile del fisco.
Tuttavia, Forza Italia e Lega, alleati di governo, lo avevano subito criticato, ritenendo che violasse la privacy dei cittadini.
Nel video di mercoledì sera, Meloni ha difeso la decisione del governo, assicurando che non ci sarebbe stato nessun “grande fratello fiscale”.
Il decreto ministeriale mirava a controllare acquisti come borse e gioielli, pagamenti di alberghi e ristoranti, videogiochi e abbonamenti alle piattaforme di streaming.
Per ragioni politiche e timore di perdere consenso, tutti i partiti, inclusi Italia Viva, il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle, hanno sempre criticato questo metodo di individuare l’evasione.
In realtà, il “redditometro” è stato usato raramente dall’Agenzia delle Entrate, non solo per la mancanza di regole chiare, ma anche perché è costoso e poco efficace nel recuperare le somme evase.
Lo ha confermato anche il presidente dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, dichiarando all’Ansa che il “redditometro” è sempre stato uno strumento residuale, utilizzato solo quando l’amministrazione finanziaria non ha elementi per ricostruire il reddito di un contribuente, come nel caso degli evasori totali che non presentano dichiarazioni dei redditi ma mostrano una significativa capacità di spesa.
L’obiettivo del redditometro sono quindi quegli evasori che anche Meloni vuole colpire, ossia “chi si finge nullatenente ma va in giro con il SUV o va in vacanza con lo yacht”.
Secondo dati della Corte dei Conti, nel 2022 ci sono stati circa 3.000 controlli con il “redditometro”, che hanno portato ad accertamenti concreti in soli 352 casi, rilevando 300.000 euro di imposte evase.
Questa cifra è irrisoria rispetto all’evasione complessiva: nel 2021, le imposte e i contributi evasi ammontavano a quasi 84 miliardi di euro e in quell’anno l’Agenzia delle Entrate recuperò 13,7 miliardi. Nel 2022, l’Agenzia ha recuperato oltre 20 miliardi, anche se non sono ancora disponibili le stime sulle somme evase.
Questi soldi vengono recuperati con metodi più moderni ed efficaci rispetto al “redditometro”. Ad esempio, l’uso obbligatorio della fatturazione elettronica e dello split payment (il meccanismo in cui la pubblica amministrazione trattiene direttamente l’IVA dei suoi fornitori) favorisce la dichiarazione delle somme e riduce l’evasione fiscale.
In questo modo, l’Agenzia delle Entrate riceve più informazioni sui costi sostenuti dai contribuenti, informazioni che può utilizzare per i controlli e i successivi accertamenti.
Nel 2023 i sistemi dell’Agenzia hanno processato ogni giorno quasi 6,5 milioni di fatture elettroniche tra privati.