Cronaca

Georgia, la generazione Z dice no al “Putinistan”

Dopo l’introduzione della famigerata legge sulle influenze straniere, la Georgia rischia di tornare sotto l’orbita di Mosca e di abbandonare il percorso già intrapreso per entrare nell’Ue

In Georgia si avverte la sensazione di essere a un punto di svolta nella tormentata storia di questa fiera, ma fragile, ex Repubblica sovietica.

Storico crocevia tra Europa e Asia, il Paese di meno di quattro milioni di abitanti è stato sempre oggetto di interessi geopolitici da parte di potenti vicini: dall’Impero persiano, agli ottomani, ai russi, fino ai bolscevichi.

Da oltre un mese, la paura di tornare sotto l’orbita di Mosca e abbandonare il percorso verso l’Unione Europea ha portato la popolazione a scendere in piazza ogni sera, nonostante la dura repressione della polizia.

Georgia: la Gen Z dice no a Putin

La capitale Tbilisi è l’epicentro delle proteste: “C’è in gioco il futuro della Georgia, non vogliamo diventare un protettorato russo. La nostra Costituzione stabilisce sia l’integrazione europea sia l’adesione alla NATO, il governo non può metterle a rischio,” avverte Tamara Kvaratshelia, giovane ricercatrice che, durante una delle manifestazioni in Piazza della Libertà, teneva un cartello con scritto “No al Putinistan!” e un rumoroso fischietto.

Le manifestazioni della Gen Z in Georgia – AGI – Ilserenissimoveneto.it

 

Questo movimento eterogeneo, senza leader e guidato principalmente dai giovani della Generazione Z, include partiti di opposizione, associazioni della società civile, pensionati e alcuni sacerdoti della Chiesa ortodossa locale.

La rabbia è stata scatenata dall’introduzione in Parlamento, a pochi mesi dalle elezioni generali del prossimo 26 ottobre, della controversa legge sulle influenze straniere, che Bruxelles considera una minaccia al percorso d’integrazione della Georgia.

Presentata ad aprile, dopo che il governo aveva dovuto ritirarla l’anno scorso a causa delle forti proteste popolari, la legge è stata approvata il 14 aprile in terza e ultima lettura dai deputati di maggioranza e dai loro alleati.

La legge impone a ONG e media che ricevono più del 20% delle loro entrate dall’estero di registrarsi presso il ministero della Giustizia come “organizzazioni che servono gli interessi di una potenza straniera”.

Il promotore dell’iniziativa è il partito governativo Sogno Georgiano, fondato dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, che ha fatto fortuna negli anni ’90 in Russia.

La legge è stata presentata come uno strumento necessario per assicurare la trasparenza dei flussi di fondi e per combattere i “valori pseudo-liberali” promossi dall’estero tramite l’opposizione, accusata a sua volta di puntare a un presunto golpe e di voler trascinare la Georgia in un conflitto con Mosca.

“Per la società civile, il provvedimento è noto semplicemente come “legge russa” per via della somiglianza con la famigerata “legge sugli agenti stranieri” con cui dal 2012 Mosca silenzia le voci critiche del potere”.

L’aggressione russa all’Ucraina il 24 febbraio 2022 ha accelerato il processo di adesione all’UE non solo di Kiev e Chisinau, ma anche di Tbilisi.

Nel Caucaso, l’influenza turca è cresciuta e partner storici come l’Armenia iniziano ad allontanarsi dal Cremlino.

La Russia, che già controlla il 20% del territorio georgiano nelle repubbliche indipendentiste di Ossezia del Sud e Abkhazia, ha tutto l’interesse a rafforzare la sua posizione nella regione, e l’attuale governo georgiano sembra ideale per farlo, spiega un’analista georgiana che lavora per un’organizzazione internazionale nella regione.

Il partito Sogno Georgiano, al potere dal 2012, ha sempre cercato di bilanciare la stabilizzazione dei legami con Mosca e il sostegno formale all’integrazione euro-atlantica, obiettivo sostenuto dall’81% della popolazione secondo i sondaggi.

Tbilisi ha condannato l’invasione russa, ma non ha aderito alle sanzioni occidentali e ha fornito a Kiev solo aiuti umanitari.

Sebbene non abbia relazioni diplomatiche con la Russia dopo la guerra del 2008, ha ristabilito voli diretti con Mosca e mantiene un regime di visti molto permissivo per i russi, accogliendone almeno 100.000 fuggiti dopo l’invasione.

Tuttavia, ha anche rifiutato l’ingresso a diversi oppositori politici del Cremlino. Recentemente, il governo ha promosso una misura per facilitare il rientro dei capitali offshore, che secondo l’opposizione favorirà Ivanishvili e gli oligarchi desiderosi di proteggere i loro asset in Occidente, rischiando di trasformare il Paese in un hub di denaro sporco.

Una “svolta” di politica estera e i timori sul futuro della giovane democrazia

Con la legge sulle influenze straniere, Sogno Georgiano “ha rotto la sua tradizionale ambiguità strategica e ha dato una svolta alla politica estera nazionale, reindirizzando il Paese verso Mosca,” afferma Ana Tavadze, 26 anni, responsabile sviluppo della ONG Shame (Vergogna), in prima fila nell’organizzazione delle proteste.

L’ufficio di Shame, situato in una delle stradine della città vecchia di Tbilisi con i classici balconi di legno merlettati, è pieno di bandiere dell’UE, maschere antigas e da sci per proteggersi dai lacrimogeni e dai proiettili di gomma usati dalla polizia contro i manifestanti, e adesivi anti-Putin.

Le manifestazioni della Gen Z in Georgia – AGI – Ilserenissimoveneto.it

 

Uno degli adesivi raffigura la faccia del leader del Cremlino coperta da due impronte di scarponi; gli attivisti lo hanno attaccato sotto il WC nel bagno, così chiunque si sieda simula il gesto di calpestare il politico che più di tutti minaccia il loro futuro.

La proposta di legge sulle influenze straniere è arrivata in modo coordinato con proposte simili in altri Paesi come Slovacchia, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e Kirghizistan: “È un’azione coordinata da Mosca,” afferma un attivista di Shame, secondo cui il primo obiettivo di Sogno Georgiano è garantire la permanenza al potere, colpendo ONG che monitorano le elezioni di ottobre, media indipendenti e organizzazioni che tracciano corruzione e ricchezze della classe dirigente.

La violenza usata apertamente dalla polizia per reprimere i manifestanti, sia in piazza che nei commissariati, e le minacce e aggressioni anonime contro gli attivisti, suggeriscono uno spostamento di Tbilisi verso “metodi russi,” denuncia Tamar Oniani, direttrice del programma Diritti Umani dell’Associazione dei Giovani Avvocati.

UE, USA e NATO hanno condannato la brutale repressione dei manifestanti pacifici e chiesto il ritiro della legge sulle influenze straniere, avvertendo che “allontanerebbe ulteriormente la Georgia dall’integrazione europea ed euro-atlantica,” come ha dichiarato la portavoce dell’Alleanza, Farah Dakhlallah.

L’Unione Europea è il principale donatore della Georgia, con un sostegno annuale alle riforme di oltre 120 milioni di euro.

Dal 1991 al 2020, gli USA hanno investito più di 4,4 miliardi di dollari per la democratizzazione e la difesa del Paese, secondo un rapporto del Congressional Research Service.

Washington ha condannato il percorso anti-occidentale di Tbilisi, minacciando sanzioni economiche e restrizioni sui viaggi.

La UE ha criticato le violenze sui manifestanti e dichiarato l’incompatibilità della legge sulle influenze straniere con i valori europei, senza però menzionare misure punitive.

Molti attivisti ritengono che l’approvazione dello status di candidato UE per la Georgia a dicembre, nonostante i limitati progressi sulle raccomandazioni di Bruxelles, abbia rafforzato il partito di Ivanishvili nella ripresentazione della controversa legge.

La legge è ora sul tavolo della presidente Salomè Zourabichvili, che è entrata in aperto contrasto con il governo e ha già annunciato il suo veto.

Tuttavia, l’esecutivo può facilmente superarlo grazie alla maggioranza parlamentare di cui dispone. Si ipotizza la possibilità, qualora Tbilisi ne faccia richiesta, di collaborare con l’UE per emendare la legge e rimuovere la stigmatizzazione indiscriminata di “agente straniero” per tutte le ONG, distinguendo tra attività politiche e sociali.

La Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa potrebbe fornire indicazioni in tal senso nel suo prossimo parere sulla legge.

Il premier Irakli Kobakhidze ha dichiarato di essere disposto a valutare modifiche, mentre il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha promesso di aiutare la Georgia a “trovare il modo migliore per affrontare le legittime preoccupazioni di tutte le parti”.

L’attenzione resta focalizzata su ottobre, quando la Commissione Europea presenterà il suo parere sui progressi delle riforme richieste e potrebbe decidere se confermare o meno lo status di candidato.

Le ONG hanno già dichiarato che non si registreranno se la legge entrerà in vigore, e la piazza ha avvertito che non accetterà nessun emendamento, promettendo di continuare le proteste finché il documento non verrà ritirato. Intanto, cresce l’apprensione non solo per il futuro europeo della Georgia, ma anche per la sua sicurezza e la salute della sua democrazia.

Per molti georgiani che hanno vissuto l’URSS e parlano perfettamente il russo, ma soprattutto per i giovani, che non sono mai stati a Mosca e sono abituati a viaggiare nell’UE grazie all’abolizione dei visti, l’integrazione nelle istituzioni occidentali è vista come l’unico modo per mitigare la minaccia russa e garantire la sovranità del Paese.

“Tutta la politica estera della Georgia è sempre stata una continua ricerca di sicurezza,” sottolinea Dachi Imedadze, 25 anni, membro della ONG Shame. “Sappiamo bene che l’UE non è la NATO, ma aumenterà comunque la nostra difesa.” “Con l’ingresso in Europa, spero che il mio Paese avrà finalmente istituzioni forti e indipendenti che contribuiranno alla sua democratizzazione e allo sviluppo sociale,” afferma l’attivista Nino Bochoridze, tra gli organizzatori di una recente manifestazione anti-governativa a Telavi, città tradizionalmente meno incline alla mobilitazione.

Levan, un uomo sorridente sulla sessantina che produce vino in Kakheti, la regione vinicola più famosa della Georgia, dove si utilizza il metodo tradizionale delle qvevri (grandi anfore di terracotta interrate), è altrettanto chiaro. A Sighnaghi, la seconda città più grande di questa zona orientale del Paese, conosciuta anche come la “Toscana georgiana,” la via principale è tappezzata di bandiere dell’UE. Levan, che preferisce rimanere anonimo, è esplicito: “La Georgia non ha altra scelta che l’Europa” per evitare di tornare a vivere come durante l’URSS, “semplicemente dentro una prigione.”

Giulia De Sanctis

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